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      Non ho veduto un gruppo, in Northumberland avenue, affrontare l'infuriare dei cavalli e resistere fino alla bastonata mortale? Ma questi fatti isolati che consolano anche nelle disfatte non impediscono di dire che gli "ammutinati" del 13 non vollero vincere perché non sono andati al nemico con un pensiero collettivo, con una invincibile resistenza che rinforzata da un convincimento bisognava vincere o perire.
      O come credete che cento o centocinquanta mila risoluti da un mese a non perdere il diritto di riunione pubblica - sancito dal sangue degli avi - non bastassero a demolire una muraglia di salariati dello spessore di quattro uomini? Non discuto i capi della dimostrazione malfinita - anche perché io non sono qui a iniettare del maratismo o del dantonismo nelle vene degli agitatori che vogliono essere costituzionali. Ma è certo che se qualcuno avesse spalancato il motto dei tre giovani del 1789: to arms (alle armi)! o se fosse sbucato un Desmoulins a dire presso a poco quello che disse il tribuno del 10 luglio - cioè dicendo all'infâme police, c'est moi, qui appelle mes frères à la liberté, mostrando l'arnese che aveva nelle mani - gli assassini di Carlo Warren e la Bastiglia di Trafalgar square non sarebbero, indubbiamente, restati in piedi.
      Un esempio, che il popolo, del resto, può fare anche senza capi e stravincere, lo abbiamo avuto qui, in questa stessa Londra, nel 1866.
      Dalla riforma elettorale del 1832 - chiamata dai cortigliani di Guglielmo IV una rivoluzione! - erano escluse, come al solito, le masse, perché non accordava il franchise o il diritto al voto parlamentare, che ai locatari e ai fittabili delle contee che pagavano un affitto di 1250 lire l'anno e agli inquilini della città che ne pagavano 250.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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