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      Nello Strand non c'è ressa, ma vi si sente qualcosa della giornata. Tutti gli sbocchi vi scaricano pubblico.
      I policemen sono sestuplicati, centuplicati. Hanno sul faccione l'aria marziale del palcoscenico.
      Sono sugli angoli, torno torno, come anelli di sicurezza pubblica o pattugliano a quattro, a sei, battendosi, di tanto in tanto, il petto per scaldarsi le mani.
      Mormorano delle impertinenze. Ma resto calmo. Perché io, in questo momento, non sono che un lapis: tiro giù i movimenti e la collera degli altri.
      Il cielo immalinconisce. È una piombaggine immensa. Ho sulla testa il vapore acqueo.
      Le orizzontali di questo quartiere non hanno smesso di indemoniare l'uomo neppure nelle ore trepide che precedono, probabilmente, una rivoluzione. Gentilmente strappano la giacca con delle sguaiataggini e ti agguantano addirittura pel braccio, dicendoti: sei mio, darling (caro)!
      I lati di Wellington street, attraversati dallo Strand, sono affollati di cappottoni e d'elmetti neri. C'è del necroforo nel policeman.
      Aprono e chiudono i pugni come se volessero lasciar capire che è in essi il prurito di rompere qualche cosa.
      I dimostranti passano alla spicciolata e scaraventano il loro disprezzo: - Blackguards (scalzacani)!
      Bevo un whisky caldo al Tivoli e sciupo dieci minuti colla barmaid (la ragazza che serve al banco delle public houses) dal collo lungo e fresco di venti anni. Strano! Anch'essa, come le prostitute, e i gentlemen in tuba, è per la legge e l'ordine. Brava, Clara!
      Hai dell'ingegno!
      Ore 12 1/2. - La via è più popolata.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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