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      A me bastano pochi tailleurs e pochi distributori.
      E come non è necessario che io mi tenga una sartoria su larga scala, così non è neppure necessario che io sia in contatto direttamente o indirettamente colle mani che lavorano. Tanto più che questa gente non mi potrebbe garantire il valore del materiale che darei loro a cucire.
      Mi valgo invece di quindici o venti della cui solventezza non ho dubbio o di coloro che mi lasciano costantemente in deposito una somma equivalente o maggiore al valore che do loro.
      Questi signori, mi distribuiscono i miei abiti tagliati, hanno una o due o tre o quattro o magari sei stanzacce tetre nei quartieri miserabili, con delle macchine da cucire, del refe, degli aghi, delle cesoie, qualche tavolo e delle seggiole dove fanno lavorare, dando il terzo, per esempio, del tanto per capo che prendono dall'appaltatore.
      Il guadagno che resta loro nelle tasche è una accumulazione di sudore (sweating) o un furto fatto sui prezzi delle fatture e per conseguenza questi implacabili strematori di salari si chiamano sweaters, o come diremmo noi sfruttatori o più energicamente mangiasudori, e le cucitore sfruttate sweated sempstresses.
      Castle alley, dove Giacomo lo squartatore scannò, l'altra notte (17 luglio), l'ottava o la nona delle baldracche che si guadagnano il giaciglio della locanda e il frusto della esistenza masturbando il ciucco e lo scarcerato e l'ex-galeotto, è come un tubo che scarica i trabocchi dei marciumi umani in quella grande arteria che fila da High street, in direzione opposte, per Whitechapel Road e Commercial street.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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