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      Vociando, strillando, sboccando dei fremiti, allargando la voce, mangiando le labbiali, sull'orecchio del pubblico come una ventata di terrore o una rivoluzione di suoni.
      Vedetelo allo sportello o nel nicchione o sotto l'arcata del distributore.
      Sbatacchia una manata di pence sul banco. Agguanta una risma o mezza risma di fogli stampati. Se li stringe sotto l'ascella. Si appende l'avviso o il sommario alle funicelle che lo salvano dal perdere i calzoni. E via colla celerità del veltro inseguito.
      A zig zag sul marciapiede. A serpeggiamenti per le strade. Tramezzo ai veicoli. Rasente le spalle. Sdrucciolando dove è il capannello che chiacchiera, piegando dove è il policeman che non lascia germogliare il disordine. Protendendosi sulla folla inquieta, incurvandosi nei vani tra cab e carro. Assordando sempre, dovunque, come un tumulto di campanelli elettrici. - Dinamite! Dinamite! Esplosione alla torre di Londra. - Il Times e i parnellisti. - Le schioppettate dei moonlighters. Discorso del grand old man (Gladstone). Supplizio di Currel a Newgate - Chamberlain, l'apostata. - Attentato allo Zar. - Tibò detronizzato. Stanley massacrato dagli indigeni.
      Ve ne sono dei nugoli di strilloni.
      Addosso alle svoltate, piantati sugli angoli, allineati ai cancelli delle stazioni, ammucchiati davanti al Criterion, all'Horse Shoe, all'Holborn, ai pisciatoi, alle public houses. Distesi come sentinelle lungo l'andirivieni dei pedoni e delle carrozze. Aggruppati intorno agli omnibus. Attaccati alle colonne dei teatri, affollati là dove la gente passa a frotte.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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