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      Il lavoro del letterato è uscito dalla categoria dei mendicanti ed è entrato nell'ordine delle professioni e nelle associazioni dei mestieri.
      Sì, guardate, la rivoluzione è compiuta. Eccovi delle barricate. Eccovi, i carri di Macmillan, dei Longmans, dei Simkim e Marshall, degli Holmes, degli Smith - chiamato un giorno il principe degli editori semplicemente perché pagava un romanzo di Giorgio Eliot centoventicinquemila franchi! - degli Hart e degli Hamilton - cito a caso - stracarichi di scienza scolastica da un penny a sei pence, di letteratura classica a nove pence, di lavori sociali a tutti i prezzi e di libri poetici e romantici - soprattutto romantici - a uno scellino con lo sconto del trenta per cento e la dozzina di tredici. Date una capatina nei loro stanzoni di vendita. Vedete che tumulto. Sono pieni di strilloni, di facchini, di librai al minuto, di gente in lotta col desinare. Dieci copie, ventisei copie e via e via come il moto perpetuo.
      I capelluti e le barbe di bianco pelo deplorano questa democrazia che li respinge e i topi del volume a cinque ghinee versano lagrime sulla scomparsa della Chapter Coffee-house o del caffè del capitolo (era sull'angolo opposto a Ivy Lane), dove sorseggiavano il caffè i curati, gli uomini di lettere tabaccosi e gli editori e dove Chatterton stesso si sentiva orgoglioso di sapersi a tu per tu col cameriere Guglielmo, il cameriere senza cuore che non lasciava uscire alcuno senza pagare lo scotto - e il Times può bene - come fece nel '59 - menare la coda e bramire e increspare la giubba contro lo scandalo dei libri alla portata di tutte le saccocce.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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