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      L'altra sera, al Convent Garden, mentre s'aspettavano i pescatori di perle, io pensavo a Edmondo Kean, il grande tragico che aveva incominciato la carriera immortale sul palcoscenico del Drury Lane - a due passi dal Convent Garden - e mi divertivo a pestarlo sulla testa di quella fama di gesso di Cesare Rossi che turlupinò il pubblico per tanti anni. Affaccendato con questo scheletro per le mani non m'accorsi che il telone era scomparso e che sul proscenio era il busto della regina circondata da un nugolo di coriste che sgolava, languidamente, il Dio salvi la regina.
      Fu uno scandalo. Il pubblico della platea, dei palchi, della galleria, del loggione, era in piedi come una selva monarchica e io, distratto, me la godevo a sbriciolare Rossi!
      - In piedi!
      M'alzai e mi inchinai alla mia salvatrice.
      - Grazie, bimba.
      Calata la tela le strinsi la mano e andammo al San Giacomo a bere del brandy.
      Parola da socialista: era un'altra perduta.
      Ed eccomi sul campo, in Regent street, una via eminentemente moderna, ove tutte le contraddizioni si sfiorano senza fremere, senza urtarsi, senza saltarsi alla gola.
      Del medio evo: dei tiri a due col cocchiere incipriato e gallonato e il domestico, in calza bianca e scarpucce scollate, che si curva col cappellone in mano dinanzi le dame, le pari, che discendono e si perdono nei grandi magazzini di mode.
      Della democrazia: degli omnibus gialli, neri, rossi, paonazzi che si rincorrono stracarichi di gente, di gentaglia, di gentuccia.
      Della borghesia: il Caffè Reale dove si mangiano pranzi eccellenti e si bevono vini eccellentissimi a prezzi enormi - specialmente se vi piace il tête-à-tête.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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