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      L'ambiente fa il giornale. Un ambiente di pezzenti vi darà una prosa molle, modesta, umile, nauseosa. Via! Noi stessi non ci sapremmo adagiare in una atmosfera di mendichi o di sottomessi. Preferiamo spoltrire i cervelli in un quotidiano consapevole della sua forza. Dopo una conflagrazione mondiale supporre il giornalismo avviato alla quiete è supporre l'assurdo. Sono le scaglie del mestiere che andranno al mondezzaio, non la prosa che ha ancora dell'energia da vendere. C'è ancora in noi tanto per degli scontri cerebrali. Siamo preparati a boxare. Il prof. Sbarbaro non fu nostro. I suoi amori fraseologici con Margherita ci hanno stomacato. Fu un cortigiano malvestito. Ma la robustezza della sua prosa facemmo nostra. Non possiamo acconciarci alla caduta della violenza della prosa. Sarebbe come pensare alla caduta del cervello umano. Le sfuriate intellettuali hanno del tempo da vivere. I loro rigurgiti sono le nostre gioie supreme. Una futura tempesta a colpi di penna ci darebbe lo spettacolo di un ritorno ai più violenti conflitti di boxeurs cerebrali. La quiete professionale non ci interessa. La respingiamo. Potrà essere dei secoli venturi, quando la liquidazione sociale sarà avvenuta. Per ora non ne vogliamo sapere. Inchiuderebbe la nostra morte. Nel mondo in cui si vive prorompono sempre uragani strepitosi di conflitti personali. Si viva o si muoia, il conflitto esiste. Il conflitto chiassoso, strepitoso. I turbini di Jaurès riproducevano l'insurrezione coi fulmini. Il suo la era irraggiungibile.


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Mussolini
di Paolo Valera
pagine 213

   





Margherita Jaurès