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      All'indomani ho udito che c'erano in diverse celle il Franzini di Milano e il giovine poeta Monticelli di Monselice, coinvolti nel mio processo per cospirazione. Il direttore dopo le mie lagnanze, li fece cellulizzare negli intermedii come me. Davanti alla mia cella era quella del famoso padre Ceresa, di sozzissima memoria. Il miserabile era stato condannato a dieci anni di reclusione per sodomia commessa su alcuni fanciulli affidati alla sua casa educativa, perchè li allevasse nel santo timor di Dio. In carcere era trattato bene. Era riverito; conservava l'abito ecclesiastico e riceveva visite di condoglianze per l'ingiustizia sofferta dai nemici della Santa Sede. La sua cella era un bazar. C'erano tappeti, mobilia, materassi, bauli, quadri, macchinetta da caffè, tutto ciò che potesse desiderare. Sei anni dopo è stato graziato e c'è voluto un fottio di tempo a far San Michele.
      Io che ero detenuto politico ero trattato assai più male del depravatore dell'infanzia. Dovevo comperare le medicine per purgarmi col mio denaro. Sputavo sangue e mi fu negata un'ora d'aria di più della consueta. Non ho mai potuto ottenere il secondo lenzuolo per farmi proteggere dalle punte di paglia di grano che sbucavano dal tessuto del pagliericcio e mi penetravano nelle carni. Avevo due valige con biancheria e vestiario sequestrate che marcivano in magazzino. Per un anno sono rimasto con la stessa camicia e con gli abiti tutti maculati e stracciati. I miei di casa mi avevano mandato un pacco di calze, di camicie, di mutande e di fazzoletti, con un paio di calzoni.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





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