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      Negai perchè ebbi vergogna, rossore dell'accusa; per un complesso d'ira e di dolore; negai perchè sapevo che i giudici di questo governo e sopratutto del governo di Depretis e Zanardelli, non ci badavano tanto per il sottile trattandosi di noi socialisti; negai perchè mi vidi perduto non avendo nessunissima fiducia in questi miei giudici, essendo ancora fresca nella mia mente la lacrimevole fine dei poveri Rustacchini di Ravenna e Gaspare Rivalla di Milano, morti entrambi di crepacuore, il primo nella galera di Finalborgo, l'altro in un luogo di reclusione ove erano stati inviati innocentissimi, perchè socialisti, da quei tali giudici in cui io avrei dovuto avere fiducia.
      La legge stessa - la pretesa infallibile - dovette poi riabilitarne la memoria; ma dopo morti, si sa.
      Ed è forse quello che avverrebbe di me, se io fossi uomo da lasciarmi ammazzare dal dolore.
      Ma vivete pure in pace; non c'è pericolo perchè io mi ritempro e mi fortifico nella sventura e sotto i colpi de' miei nemici. Negai per un momento la verità perchè, ripeto, sapevo ch'essa non mi sarebbe valsa a nulla e l'esito del processo ne fa fede.
      Entriamo in più ampi particolari e vediamo quando mai finirò di rinnovare questo disperato dolore che in cuor mi preme.
      Detenuto politico fin dal 31 gennaio 1881, la lunghissima e noiosissima istruttoria era ultimata. Io, in attesa dei dibattimenti m'accingevo a comparire alle assise a difendere sull'onorato banco d'accusa quelle idee che sono l'avvenire certo inevitabile dei popoli, delle nazioni, dell'umanità e che un'ingiustissima intolleranza, ci vietava e ci vieta di esporre pubblicamente nel seno di quella società che ha il diritto di conoscere tutto, per guidare e scegliere, accettare e combattere a seconda dei proprii interessi, del suo avvenire.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





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