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      Dei prigionieri e delle guardie di fuori non si vedono che i piedi.
     
     
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      Nel pomeriggio del 5 gennaio 1882 il direttore Fassa č venuto ad avvertirmi che mi preparassi per la partenza. Aggiungeva che la procura generale aveva dato ordini di farmi viaggiare in seconda classe. Ho saputo dagli stessi carabinieri che la gentilezza era perchč in un tentativo di fuga fossi pių alla portata dei revolvers.
      Discesi alle otto nell'ufficio del capo-guardia, dove trovai un mucchio di spie che mi guardavano insolentemente quasi avessero voluto imprimersi la mia fisionomia nella memoria. Ammanettato ben bene, uscii in mezzo a una dozzina di gendarmi e salii nella vettura cellulare con loro. C'era pure il sotto-capo delle guardie carcerarie Bianchi. Alla stazione fui attorniato da altri carabinieri con due brigadieri, i quali si servirono delle dragone delle loro sciabole per tenermi per le braccia. Sei gendarmi mi precedevano e sei mi seguivano. Passammo in mezzo a due cordoni di soldati di linea che andavano dalla vettura cellulare al treno. La prima sorpresa č stata quella della classe. La mia seconda classe č stata quella cassa da morto in piedi del vagone cellulare. Non c'era luce, non c'era aria, non c'era spazio. Non potevo stendere le gambe, nč muovere un braccio. Ne aspiravo il fetore. Il buco era cella e latrina. Il sedile del prigioniero č cosė inzuppato di materia nauseabonda. L'uscio venne chiuso con serratura a triplice mandata, piantonata da un carabiniere che mi toglieva il barlume di luce che avrei potuto vedere nello stretto corridoio delle due linee parallele.


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L'uomo pių rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





Fassa Bianchi