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      Il comandante ebbe paura e discese accompagnato da un tenente di Vascello.
      - Sei tu pentito, canaglia?
      - No! risposi.
      Gli avrei sputato in faccia. Non avevo più saliva. L'ufficiale con lui era disgustato del supplizio che mi era stato inflitto. Venni portato in batteria. L'aria e la luce mi fecero perdere i sensi. Non ero più che uno scheletro. La mia ferita alla gamba era ancora aperta. In stiva per impedire che andasse in cancrena l'ho pulita più di una volta colla mia lingua.
      Ho giurato in quei giorni che se fossi tornato dalla Caledonia l'avrei cercato e punito. Egli era stato il mio carnefice: io sarei stato il suo. I sogni di evasione erano per raggiungerlo. Venuta l'amnistia egli era morto, morto da tre anni.
      Cipriani vive ancora della sua penna. È redattore dell'«Humanité». Abita in una soffitta. Ha trovato sua figlia. Una signora è morta, e gli ha lasciato venti mila franchi. Li ha rifiutati. Egli vuole morire coerente coi suoi principii. Da Rochefort ha rifiutato 200 franchi al giorno per un anno a scrivere le sue memorie. Un editore inglese gliene ha offerto 150.000. Ha preferito la miseria. Non gli piace scrivere di sè. Io l'ho importunato invano perchè si sbottonasse con le sue mani.
     


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





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