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      3. Che il D'Ancona e il Comparetti gettano là questa frase: gergo meramente letterario senza spiegare nient'affatto che cosa significhi un gergo meramente letterario. Parrebbe che per loro si trattasse addirittura di qualche cosa di simile a un gioco di società, un gioco di società però che era giocato da tutti uomini, come Federico II, Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti, Dante, Francesco da Barberino, Cecco d'Ascoli; uomini cioè che contemporaneamente giocavano ben altri giochi e più seri nel campo della vita politica, filosofica e religiosa. Il supporre che tutti costoro abbiano mescolato e intrecciato alla loro tragica attività politica e religiosa il loro amore, ma legando questo a un gergo insulso, a una specie di passatempo, è semplicemente assurdo. Di gergo letterario si può parlare tra gli abatini dell'Arcadia, non tra uomini dello stampo di quelli che ho ricordato sopra.
      4. Che i due illustri critici parlano di gergo letterario, il quale dovrebbe almeno avere una giustificazione nella grazia artistica dei suoi risultati, mentre nella poesia citata di Cino da Pistoia e in tante altre simili dove l'esistenza del gergo è evidentissima, esso corrompe tutto l'elemento estetico della poesia, la quale risulta una cosa indiscutibilmente brutta proprio per la palese presenza del gergo e nella quale quindi è evidente che il gergo ha una ragion d'essere non letteraria, non artistica, ma di ben altra natura.
      5. Che il D'Ancona e il Comparetti (e questa è la constatazione più grave) giudicano l'idea del Rossetti senza averne nessuna conoscenza seria.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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