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      E sono un gruppo non di solitari vagheggiatori di donne angelicate né di esteti che si incretiniscano in un gergo letterario, ma un gruppo che medita e pensa qualche cosa di molto serio.
      Uno di questi poeti un bel giorno scrive al capo, a Guido Cavalcanti, facendogli una proposta che fa strabiliare: quella di fare una mostra, cioè una parata di «Fedeli d'Amore» a cavallo, a suono di trombe, per il giorno di Pasqua!
      Che cosa c'entra questa proposta con la donna angelicata e con il «cuore gentile» che vagheggia la donna purissima e col gergo letterario? In questo sonetto vibra un'emozione collettiva, una forma d'entusiasmo collettivo. Si sogna questa bella parata di «Fedeli d'Amore» armati a cavallo. Perché? Per che cosa? Per fare della letteratura? Armati a cavallo e, si noti bene, a suon di trombe e non di corno. Il poeta vuole che non si pensi a una pacifica e brillante cavalcata di caccia che si raccoglieva al suon del corno, vuole una cavalcata a suon di trombe, quelle che raccoglievano i cavalieri per la guerra!
      Il sonetto è corrotto nella sua lezione e in alcune parti mal comprensibile; chiara in ogni modo è la proposta di fare una mostra di «Fedeli d'Amore» armati a cavallo a suon di trombe e proprio in quei giorni di Pasqua (si noti) nei quali avvenivano tutti quegli innamoramenti subitanei (che erano iniziazioni), in quei giorni di Pasqua particolarmente sacri per i Templari e per il loro carattere religioso pochissimo adatti alle avventure amorose.
      A suon di trombe innanzi che di corno


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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