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      È di solito la cosa più facile del mondo intendere immediatamente quando la donna significa la Sapienza e quando significa la setta (che si chiama anche «Amore») alla quale il poeta spesso si professa fedele, ma contro l'autorità e i rigori o gli errori della quale molte volte protesta. Vi sono drammi in tutta questa poesia che sembrano apparentemente insulsi crucci d'innamorati, strani, ingiuriosi, incomprensibili tentativi di un innamorato di cattivo umore di distogliere gli altri dall'amore, proteste di non voler più amare e simili; sono tutte polemiche svolte nell'interno della setta, discussioni, insurrezioni, condanne il cui tono talora aspro e volgare (si ricordi il sonetto di Dante: Amore e Monna Lagia e Guido ed io) contrasta nel modo più palese con il tono serafico e squisitissimo di questo amore.
      Gli è che quando voi sentite il poeta parlare in forma estatica, egli ha dinanzi a sé la santa Sapienza che egli ama e quando egli parla in forma aspra e tumultuosa ha dinanzi a sé la setta, gruppo come vedremo, tumultuoso e litigioso di uomini d'ingegno ma poco sofferenti della disciplina, gruppo che in verità non concluse mai molto di serio nella vita pratica perché costituito da buoni italiani del '300, i quali prendevano ogni occasione per litigare tra loro. C'è persino, come vedremo, uno di questi «Fedeli» che, vomitando una serie di assurde ingiurie contro tutti gli innamorati, finisce col dire che «Amore ha affibbiato il suo manto a una troia»!
      L'ipotesi del gergo e del vincolo settario di questi «Fedeli d'Amore» spiega anche perché così spesso questi poeti sentano il bisogno di riaffermare e di giurare ad Amore e a Madonna che essi sono fedeli, ma che non possono manifestare il loro amore, che c'è chi li raffigura come infedeli, ma che sono fedelissimi nel cuore malgrado le apparenze.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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