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      Per queste ultime anche la critica tradizionale suole dire, senza dare alla cosa però troppa importanza, che esse sono scritte in un «gergo oscuro».
      Ebbene, basta fare un piccolo passo, imposto dal senso comune, per riconoscere che, non solo esisteva il gergo dei «Fedeli d'Atnore», ma che esso si estendeva di regola a tutte le poesie di questi amanti (con le eccezioni che osserveremo poi) e che essi non scrivevano di regola a significato semplice e qualche volta, non si sa perché, in un gergo oscuro, ma che essi scrivevano di regola in gergo e per una ragione molto seria, e qualche volta riuscivano a sovrapporre elegantemente al significato mistico un significato letterale che aveva una sua logica, una sua grazia, una sua eleganza, e qualche volta non ci riuscivano. Nel primo caso le poesie risultavano chiare e qualche rara volta belle, nel secondo caso invece, le poesie, fatte in fretta o mal fatte, restavano nel senso letterale oscure, involute, incomprensibili o sciocche. Caso tipico il sonetto di Cino da Pistoia: Perché voi state forse ancor pensivo(84).
      Pertanto la tesi che sbalordiva il Carducci e che ha già fatto raccapricciare e fremere molti dei miei lettori, secondo la quale tutta questa poesia d'amore è di regola scritta in gergo ed è poesia mistica in ambiente iniziatico, si delinea semplicemente con brevi e giustificatissime estensioni di conoscenze che già avevamo e che sotto gli occhi mirabilmente incomprensivi della critica «positiva» convergevano (qui sta il fatto importante) verso quella tesi.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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