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      E questo principio diventò quel che si disse l'Intelligenza attiva o Intelletto attivo.
      Questa Intelligenza attiva sta all'intelletto possibile come la forma alla materia, come l'arte pittorica alla nuda tela, come la luce all'occhio: è ciò che dà l'essere all'intelletto in quanto lo pone in atto. Le idee universali intelligibili vengono rispecchiate nell'intelletto passivo soltanto per opera dell'Intelligenza attiva, come gli oggetti nell'occhio per opera della luce. Essa è quindi «la luce della mente», est quasi lux: lux enim quoquomodo etiam facit colores, qui sunt in potentia, colores in actu. Essa rivela le eterne idee(93). «Questa intelligenza, universale, unica, illuminatrice delle menti umane, è separata, estrinseca, immortale, perpetua»(94). «Lo intender per essa è la massima beatitudine cui possa l'uomo aspirare, anzi lo fa più che uomo, divino(95)». «Essa è principio di ogni unità riducendo il molteplice all'Uno: è la rettitudine istessa»(96).
      La dottrina dell'Intelligenza attiva si sviluppò ampiamente in diversissime scuole, sia puramente filosofiche, sia mistico-religiose. Nella linea più rigidamente filosofica si svolse soprattutto presso gli aristotelici arabi. Averroè, commentando Aristotele, aveva detto che, come in ogni ente sensibile concorrono due elementi: la materia (possibilità) e la forma (atto); così nell'essere intellettivo concorrono: da un lato l'intelletto possibile o materiale, dall'altro l'intelligenza attiva o formale. La tendenza naturale di quell'elemento che rappresentava la materia era quella di congiungersi con la sua forma, cioè di acquistare esistenza in atto.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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