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      Or le intelligenze astratte per due modi sono il principio di ciò di cui sono il principio, cioè, secondo che sono moventi e secondo che sono fine. L'intelligenza attiva, in quanto è astratta ed è nostro principio è impreteribile, che muova noi come l'amata muove l'amante: e se ogni cosa mossa è necessario si congiunga a ciò che è sua causa finale e che la move, necessario è che da ultimo ci congiungiamo a tale intelligenza astratta benché in noi ciò segua per breve tempo come disse Aristotele(100)».
      Di questa «Intelligenza universale» o «Intelligenza attiva» parla lungamente anche tutta la scuola tomista dicendo che «l'Intelletto possibile nulla intenderebbe se l'Intelligenza attiva non illuminasse gli intelligibili e con quelli lui stesso elevandolo al grado di intelletto speculativo. Il reiterarsi e l'uso di questo modo di intendere fa sì che di più in più si venga assimilando all'intelligenza universale, tanto da prender forma da essa in modo aderente e durevole come il diafano dalla luce(101)».
      Quest'ultima idea è particolarmente preziosa per intendere il mistero della poesia d'amore e comprendere come sotto le sue formule si celebrasse appunto questo connubio con la suprema intelligenza nel quale l'amante si assimilava con l'amata, e finiva col dire come Cecco d'Ascoli: «Dunque io son ella».
      Gli scolastici, dunque, parlavano di questo penetrare che l'Intelligenza attiva fa dell'intelletto possibile assimilandolo al penetrare che fa la luce nell'oggetto diafano. Ebbene Guido Cavalcanti, spiegando da che cosa viene l'amore, usava proprio la stessa formula e aggiungeva che l'Amore nasce da una «forma che prende luogo e dimoranza nell'intelletto possibile come nel suo proprio subbietto» e che quindi, aggiungo io, non può essere altro che l'Intelligenza attiva, poiché l'intelletto possibile è il subbietto proprio e soltanto dell'Intelligenza attiva.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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