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      Nel fatto, se la comunissima e risaputissima interpretazione mistica della poesia persiana non suscita lo sdegno, gli scherni e le acri e sistematiche incredulità che hanno colpito le rivelazioni tentate intorno alla poesia italiana, ciò si deve al fatto che quella interpretazione non urta i nostri romantici e i nostri filologi che invece, per quanto riguarda la poesia italiana, sono compromessi e impigliati e impantanati da anni tra le piccole scempiaggini contraddittorie del suo senso letterale.
      Torniamo ai poeti persiani. Sappiamo che essi, propensi all'estasi religiosa, che come è noto può essere favorita da bevande inebrianti, riguardavano il vino tanto aborrito agli ortodossi maomettani, «come il simbolo visibile e più caro dell'amore, dell'amore di Dio. Anzi nel loro linguaggio immaginoso e figurato, il vago e aggraziato coppiere, il bel giovinetto dalle gote fiorenti e dai capelli bruni e crespi, che invita ai baci e agli amplessi, invocato con desiderio caldo in tante odi innamorate, non è che Iddio stesso che dispensa grazie attorno e infonde amore nei cuori».
      Tutti questi mistici ricercando nei libri sacri lo spirito che vivifica sotto la lettera che uccide, tendono anche a rompere i rigidi confini dell'ortodossia e a riconoscere l'unità fondamentale delle fedi umane. Il che fa comprendere come tra alcuni di questi mistici e i cristiani venuti in Oriente si stabilissero dei rapporti molto stretti proprio mentre le due ortodossie, cristiana e maomettana, si combattevano ferocemente tra loro nelle crociate.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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