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      Egli ha già stabilito un prezioso raffronto tra il libro di questo mistico orientale: Il regime del solitario e le idee di Guido. In questo libro si espone come l'uomo con lo sviluppo successivo delle sue facoltà, non senza però un aiuto che scende dall'alto, può arrivare a identificarsi con l'intelletto attivo; si dice che i solitari, che questo vogliono ottenere, possono restare nel mondo come stranieri vivendo col pensiero nella repubblica ideale di cui son cittadini giungendo per mezzo della riflessione e della giustizia alla «percezione delle cose spirituali fino agli spirituali universali». «Dovere del solitario è d'appartarsi dagli uomini inferiori e unirsi coi conoscenti... da quelli deve appartarsi perché non sono della sua stessa specie: e senza farsi loro giudice adorare il Creatore in segreto, perfezionandosi nella scienza e nella religione, sì da diventare luce per gli altri».
      Il Salvadori scrive: «Nella concezione d'Avempace ritroviamo le linee principali della concezione cavalcantiana. La Repubblica ideale dei solitari, che, senza appartarsi dal mondo, vi albergano come stranieri, ricercandosi tra loro, lontano dagli uomini che vivono bassamente, si ritroverà nel Regno d'amore, costituito dai “conoscenti”... separati dagli uomini di “basso cuore”, dai “morti”... L'intelligenza nelle pure forme astratte... nell’“intenzione” della forma della bellezza già attuata nella donna, ecc.»
      Con queste parole e con tutto il suo interessante studio: La poesia giovanile e la Canzone d'Amore di Guido Cavalcanti, il Salvadori, pure restando completamente estraneo all'intuizione prima del Rossetti, finiva col dimostrare per il Cavalcanti quello che il Perez aveva già dimostrato per Dante, cioè che l'amore da lui cantato è realmente un amore per l'Intelligenza attiva considerata come una sostanza separata sotto l'influenza dell'aristotelismo, del neoplatonismo e del misticismo arabo-persiano.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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