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      a cominciar quel, che voi sentenziatine siete in modo che piaccia alla gente,
      e par che in vostro detto ne mostrate;
      e siete certo e per fermo l'aggiate,
      che gioco è, ver quel ch'arete, presente(183).
      Io non intendo approfondire tutto il contenuto settario della poesia siciliana perché mi riserbo di concentrare la mia dimostrazione sul gruppo del dolce stil novo nel quale l'esistenza del linguaggio segreto è anche più palese, ma basti questo esempio citato sopra per mostrare quali nuovi aspetti della vita medioevale ci si rivelino con il riconoscimento del gergo segreto e con la conoscenza di questa misteriosa dottrina dei «Fedeli d'Amore».
      Per la stessa ragione, per arrivare cioè rapidamente al punto centrale della mia dimostrazione, accenno appena ai poeti detti di transizione. Tra questi, due sono soprattutto importanti: Guittone d'Arezzo e Buonagiunta da Lucca.
      Guittone d'Arezzo a me appare chiaramente come un poeta d'amore completamente estraneo al movimento settario e al simbolismo mistico. La sua poesia non ha ombre, non ha misteri, non ha incomprensibilità. Qualche penombra la porta dall'imitazione provenzale, ma si sente perfettamente che il suo spirito non ha nulla di profondo e si muove in un ambiente totalmente diverso da quello dei poeti appartenenti alla setta. È francamente guelfo e la tradizione dei poeti settari da Dante al Petrarca lo tratta con odio e con disprezzo.
      Dante, come è noto, ne fa due solenni stroncature, l'una nel Purgatorio (XXVI, 124) ove fa dire proprio a Guido Guinizelli che quella di Guittone era una fama scroccata e ormai tramontata, l'altra nel De Vulgari Eloquentia, ove scrive con disprezzo e con odio: «Subsistant igitur ignorantie sectatores Guittonem Aretinum et quosdam alios extollentes, nunquam in vocabulis atque constructione plebescere desuetos» (II, VI, 8).


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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