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      E una manifestazione di poco meno rozza della stessa tradizione, si ritrova come ho già detto in Buonagiunta da Lucca che parla sempre d'amore senza mai dir nulla di preciso, di profondo, di sentito, senza dare mai un nome alla donna che non sia quello di «Rosa». In lui anzi le formule del gergo diventano noiosamente e pericolosamente stereotipate. Dico pericolosamente perché il monotono abuso di queste formule rischiava naturalmente di renderle ormai troppo comprensibili.
      Ecco un esempio di quello a cui si era ridotta nella meccanicizzazione del gergo questa poesia. Si doveva celebrare al solito il «Fiore», la verità custodita dalla setta, quella che conserva ancora il bene nel mondo, quella della quale il poeta è fedele, quella dalla quale si attende il buon frutto della liberazione spirituale. Ecco la maniera grossolana e trasparente con la quale si esprime Buonagiunta da Lucca:
      Tutto lo mondo si mantien per fiore:
      se fior non fosse, frutto non serìa(184):
      per lo fiore si mantene amore,
      gioia e allegrezza, ch'è gran signoria.
      E della fior son fatto servidore,
      sì di bon core, che più non poria,
      in fiore ho messo tutto il meo valore;
      se il fiore mi fallisse, bem morria.
      Eo son fiorito, e vado più fiorendo:
      in fiore ho posto tutto il mio diporto:
      per fiore aggio la vita certamente.
      Com' più fiorisco, più in fior mi 'ntendo;
      se fior mi falla, ben seria morto:
      vostra mercé, Madonna, fiore aulente(185).
      È questa una poesia d'amore? Lo creda chi vuole. Io non ci credo. Quella povera Madonna è appiccicata in fondo a prendere la qualifica di «fiore aulente», ma come non vedere che essa non c'entra per nulla e che essa non è una donna vera, se è quel «fiore» per il quale tutto il mondo si mantene, quel «fiore» che deve dare un certo frutto che non si nomina?


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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