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      A proposito di tali corti o tribunali abbiamo già osservato quanto spesso si accenni a gente «faidita della schiera d'amore», abbiamo accennato al sonetto di Cavalcanti a Dante che fa sapere che ha trattenuto Amore mentre affilava i dardi contro Lapo e all'altro sonetto, forse di Dante: Amore e Monna Lagia, nel quale si esulta per la cacciata dalla setta di un indegno che è probabilmente lo stesso Lapo.
      Ma anche il brillante capo della setta, Guido Cavalcanti, provò a un certo punto i rigori del «fero loco ove tien corte amore». E una buona parte delle sue poesie sono di risentimento e di protesta contro la setta che non lo apprezza più, minacce di abbandonarla e querele infinite. E noi sappiamo che Dante rimpianse molto a un certo punto che Guido non mirasse più «a questa gentilissima» (Giovanna). Il dramma dell'abbandono della setta da parte di Guido per il quale essa si chiamava «Giovanna», suona nella Vita Nuova e ha molti echi in tutta questa poesia.
      Tra gli innumerevoli sonetti di questo tono io debbo citarne uno attribuito al Cavalcanti nel quale il poeta parla addirittura dei suoi nemici e si lamenta che nessuno più lo aiuti, quantunque abbia speso tutto il suo tempo in servizio della setta (in far d'Amor suo gradi). Lo cito perché quel suo appello alle sue benemerenze e alla sua devozione ad Amore non avrebbe senso serio di fronte ai nemici, se si fosse trattato di amore per le donne. Si trattava di un Amore (la setta) che avrebbe dovuto ripagarlo di gratitudine e invece lo lasciava abbandonato ai nemici o forse anche gliene suscitava contro egli stesso.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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