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      Or questa (donna) de fenice ten semeglia,
      sentendo de la vita gravitate.
      Morendo nasce; scolta meraveglia:
      in elle parti calde d'orientecanta, battendo l'ale desfidata,
      sì che nel moto accende fiamma ardente;
      però, che conversa, dico, in polve trita,
      per la vertute che spreme la luna,
      reprende in poca forma prima vita:
      e, pur crescendo, monta nel so stato.
      Al mondo non ne fo mai plu che una;
      de l'oriente spande el so volato.
      Così costei, che al tempo moreper la grifagna gente oscura e ceca,
      accende fiamma del disio nel core:
      ardendo, canta de le iuste note;
      con dolce foco la ignoranzia sprecae torna al mondo per le excelse rote;
      la guida de li cieli la conducene l'alma, ch'è desposta per soa luce(453).
      Tutto questo è perfettamente e limpidamente d'accordo con quanto abbiamo dedotto da altri indizi e cioè: che la Sapienza iniziatica considerata come raggio diretto della divina Sapienza, e personificata in donna da tutto questo gruppo di poeti, era assimigliata alla fenice in quanto si considerava come Sapienza unica rinascente attraverso i tempi; che si considerava rinascente perché di continuo oppressa dall'errore e dalla violenza e in questo caso speciale è condotta a morte dalla virtù che spreme la luna (Chiesa) e la donna è uccisa da questa gente grifagna oscura e ceca, che sono evidentemente gli uomini della Chiesa corrotta, e che si riconosceva la sua unicità (Al mondo non ne fo mai plu che una) non solo, ma la sua provenienza dall'Oriente, da dove infatti era venuta probabilmente come dottrina gnostico-cristiana, come «Rosa di Sorìa», come quella misteriosa donna che su la man si posa come succisa rosa e che generava figlie alle fonti del Nilo e che conosceremo nella canzone di Dante: Tre donne.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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