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      fondando li soi pedi en basso centro’
      là lo condusse la sua fede poca; (!!)
      e so ch'a noi non fe' mai retornoché so disio sempre lui tenne dentro:
      de lui mi dol per so parlar adorno(457).
      Evidentemente in queste parole l'Ascolano nega che Dante sia mai stato in Paradiso, perché il suo corpo umano non poté mai divinizzarsi e aggiunge che il bianco non può essere come il perso, cioè la verità non può cambiar colore ed è una sola come la fenice e afferma, si noti, questo fatto importantissimo: Dante fu condotto all'Inferno (negli altri regni ove egli andò col duca) dalla sua «poca fede».
      Che cosa dire di questo poeta, bruciato vivo come eretico, che dichiara che Dante sta all'Inferno per «poca fede»? È serio pensare che questa «poca fede» sia poca fede ortodossa e che Cecco d'Ascoli trovasse poca la fede ortodossa di Dante? No, certo. E allora resta evidentemente dimostrato che v'era un'altra fede che l'Ascolano riteneva d'avere in misura maggiore di Dante, un'altra fede nella quale Dante, secondo lui, era stato debole o aveva mancato o deviato, ed era evidentemente una fede che riguardava un ambiente settario, era una fede settaria, la fede dei «Fedeli d'Amore», che infatti Dante aveva superato in certo modo, come vedremo, creandosi una sua dottrina della Sapienza, una «sua Beatrice» non riconosciuta da molti dei suoi vecchi correligionari, e con ciò aveva fatto cambiar colore (il bianco in perso) a quella che è come fenice (la Sapienza), che è sempre una, l'unica fenice, e non può mai cambiare.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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