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      E questo fatto è confermato dall'altra discussione che l'Acerba fa contro Dante a proposito del sonetto Io sono stato con Amore insieme, affermando contro Dante che l'amore è uno e che «non si diparte altro che per morte», mentre Dante aveva detto che può «con nuovi spron punger lo fianco», cioè a dire rinnovarsi nell'anima che se n'è allontanata o manifestarsi in forme nuove.
      Ma chi vuole una riprova evidente dei legami che uniscono Cecco d'Ascoli ai «Fedeli d'Amore», non deve che rileggere i suoi sonetti diretti a Cino da Pistoia, a Dante, al Petrarca.
      Uno ve n'è diretto a Cino da Pistoia ove con lo stile proprio dei «Fedeli d'Amore» si piange per le persecuzioni della «setta che 'l vizio mantene», alla quale pare che il cielo sia favorevole. E nella vittoria di questa gente malvagia (che per un ghibellino non poteva essere che la vittoria della Chiesa persecutrice chiamata con il suo nome in gergo «invidia») Cecco urla il dolore di dover tacere la sua verità e con un mirabile verso che riassume una grande quantità di dolori, di sforzi, di sacrifici, di artifici e di speranze, ripete il programma dei «Fedeli d'Amore» costretti a tacere, a dissimulare la verità, ma fermi nel loro odio e nella loro guerra: «Nell'alma guerra e nella bocca pace!»
      La 'nvidia a me à dato sì de morso,
      che m'à privato de tutto mio bene,
      et àmmi tratto fuori d'ogni mia spenepur ch'alla vita fosse brieve il corso.
      O messer Cino, i' veggio ch'è discorsoil tempo omai che pianger ci convene,
      poi che la setta che 'l vizio mantene


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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