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      Questa frase è molto oscura, certo vuole indicare in Francesco e Rodico due cose opposte e in lotta tra loro. Per me l'allusione è alla lotta tra i Franceschi, (Franchi di Filippo il Bello) e qualcuno che non era proprio Rodico, non stava proprio a Rodi, ma abbastanza vicino a Rodi e che sarebbe stato pericoloso il nominare, stava cioè a Cipro, ed era l'ordine dei Templari(464).
      Cecco d'Ascoli ripetendo così ancora una volta tutti i consigli di Falsosembiante, prometteva a Dante una gloriosa riuscita e intanto, quel che più importa, stringeva con lui un patto di reciproco consiglio.
      Abbiamo visto come e perché quest'alleanza si ruppe.
      Ma intanto è prezioso riconoscere in questa lirica l'angoscia che egli esprime di non poter dire la verità, di essere oppresso nell'obbligato silenzio di ciò che arde dentro, angoscia che grida anche più apertamente nel secondo dei due sonetti di Cecco al Petrarca, nel quale il poeta freme nella rabbia di doversi fare cieco mentre sa di non essere cieco, di vivere nell'«empio laccio» (della Chiesa) di essere distrutto dal «freddo ghiaccio» e di essere condotto a soffrire dal «negro manto», cioè dalla simulazione dell'errore, col quale egli ha dovuto nascondere la sua verità, ma restando però fedele alla «bella vista coverta dal velo», alla Sapienza santa che deve essere costretta sotto il velo perché non si può propalare e che per questo fa tanto soffrire il poeta! È veramente un potente grido d'angoscia!
      I' non so ch'io mi dica, s'io non taccio:
      cieco non son, e cieco convien farme;


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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