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      Contro di me.
      In questo mio stato doloroso io dovrei essere compatito e confortato dalla setta e invece vengo gabbato senza pietà.
      Ciò che m'incontra, ne la mente more,
      quand'i' vegno a veder voi, bella gioia;
      e quand'io vi son presso, i' sento Amore
      che dice: «Fuggi, se 'l perir t'è noia».
      Lo viso mostra lo color del core,
      che, tramortendo, ovunque pò s'appoia;
      e per la ebrietà del gran tremorele pietre par che gridin: Moia, moia.
      Peccato face chi allora mi vide,
      se l'alma sbigottita non conforta,
      sol dimostrando che di me li doglia,
      per la pietà, che 'l vostro gabbo ancide,
      la qual si cria ne la vista mortade li occhi, t'hanno di lor morte voglia.
      XVI. Dante sente ora il bisogno di scrivere: 1. quello che egli soffre per causa d'Amore; 2. il fatto che Amore lo assale in modo che non gli rimane altro di vita se non un pensiero che gli parlava di questa donna; 3. che in questa battaglia egli si muove «quasi discolorito tutto» (in figura di morto fingendosi non adepto) per andare a vedere questa donna «credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia», credendo cioè che la setta lo aiutasse, ma la setta non lo aiuta; egli, come dice nel sonetto seguente va «così smorto d'onne valor voto»; così egli vive agitato fra il pericolo che gli viene da «Morte» e la setta che non lo riaccoglie, non lo aiuta.
      XVII. Dante decide allora che, avendo assai manifestato del suo stato, vuole «ripigliare matera nuova e più nobile che la passata». Non vuole parlare più delle sue alternative, delle sue paure angosciose e lamentarsi con la setta che gli nega il «saluto» e non comprende il suo stato, vuole altamente filosofare in versi sulla Sapienza santa.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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