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      Ma che esista questo pensiero vero risulta anche qui dalla risposta di Guido, il quale dice che con loro due andrebbe volentieri, ma che egli ormai non si sente più degno d'Amore (quanto disdegno in questa parola!) e che vorrebbe in ogni modo che la donna avesse altro sembiante; di Giovanna, della setta, non vuole più saperne.
      S'io fosse quelli che d'amor fu degno,
      del qual non trovo sol che rimembranza,
      e la donna tenesse altra sembianza,
      assai mi piaceria sì fatto legno(503).
      E continua parlando però di un nuovo amore, di un nuovo affetto che sembra lo tenga, forse un'altra idea (il razionalismo epicureo del quale fu accusato?).
      XXV. Segue un capitolo intero destinato a richiamare chi per caso non avesse ancora inteso, al fatto che Dante parla d'Amore figuratamente. Egli si purga da un'accusa che, a dire il vero nessuna persona un poco intelligente gli avrebbe potuto fare: d'avere cioè personificato Amore, cosa che tutti facevano da secoli e secoli. Ma in verità, Dante prende solo un pretesto per affermare una cosa ben più interessante e cioè che il dicitore per rima, rima su «matera amorosa», perché la poesia volgare nacque come poesia d'amore, ma che i «dicitori per rima» non sono altro che «poeti volgari» e che pertanto è concesso a loro quello che è concesso agli antichi poeti, di far parlare molti accidenti «sì come se fossero sustanzie e uomini»; e aggiunge, si noti, «degno è lo dicitore per rima di fare lo somigliante, ma non sanza ragione alcuna, ma con ragione la quale poi sia possibile d'aprire per prosa».


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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