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      ramo di foglia verde a noi s'ascondese non se in lauro, in pino o in abete
      o in alcun che sua verdura serba;
      e tanto è la stagion forte ed acerba,
      c'ha morti li fioretti per le piagge,
      li quai non poten tollerar la brina:
      e la crudele spinaperò Amor di cor non la mi tragge;
      perch'io son fermo di portarla semprech'io sarò in vita, s'io vivesse sempre.
      Le vene delle acque versano abbondantemente e fanno dei corsi d'acqua là dove al bel giorno si passava piacevolmente. In questo grande assalto dell'inverno (del tempo triste, della persecuzione) «la terra fa un suol che par di smalto» (è diventata pietra essa pure!) e l'acqua è diventata gelo, ma Dante conclude trionfalmente di non essere tornato un passo indietro da quello che il volgo chiama Amore e ch'egli chiama qui con il suo vero nome: guerra. Guerra la quale può condurre al martirio e alla morte che Dante intravede in verità senza temerla!
      Versan le vene le fummifere acqueper li vapor che la terra ha nel ventre,
      che d'abisso li tira suso in alto;
      onde cammino al bel giorno mi piacqueche ora è fatto rivo, e sarà mentre
      che durerà del verno il grande assalto;
      la terra fa un suol che par di smalto,
      e l'acqua morta si converte in vetroper la freddura che di fuor la serra:
      e io de la mia guerranon son però tornato un passo a retro,
      né vo' tornar; ché se 'l martirio è dolcela morte de' passare ogni altro dolce.
      Canzone, or che sarà di me ne l'altrodolce tempo novello, quando piove
      amore in terra da tutti li cieli,
      quando per questi geliamore è solo in me, e non altrove?


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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