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      lo desio amoroso de la speme,
      che nascer fanno gli occhi del bel semedi quel piacer che dentro si ragiona,
      i' dico, poi se morte le perdonae Amore tienla più de le due estreme,
      che l'alma sola, la qual più non teme,
      si può ben trasformar d'altra persona.
      E ciò mi fa dir quella ch'è maestradi tutte cose, per quel ch'i' sent'anco,
      entrato, lasso! per la mia fenestra,
      ma prima che m'uccida il nero e il bianco,
      da te, che sei stato dentro ed extra,
      vorre' saper se 'l mi' creder è manco.
      Nel quale sonetto, che s'intende a dir vero molto male anche nel senso letterale, pare che sia posto il problema se colui che ha abbandonato la setta ed è stato perdonato dalla Morte, dalla Chiesa, può ritornare trasformandosi d'altra persona, riprendendo «vita nuova» una seconda volta, alla Sapienza santa. In mezzo alle strane espressioni è interessante la frase «prima che m'uccida il nero e il bianco» che non ha senso se appunto non indichi l'angoscioso contrasto dell'animo di Cino tra la setta (il bianco) e la Chiesa (il nero), per il quale Cino si rivolge a Dante come a colui che era stato «dentro ed extra», cioè che era stato dentro e fuori della setta.
      CXI. Dante secondo il solito risponde apparentemente fuori tono, riafferma però a buon conto al solito d'essere stato sempre, in realtà, Fedele d'Amore; dice però che Amore non tollera opposizioni di ragione o di virtù e che nel cerchio della sua palestra egli non lascia franco il libero arbitrio, il che probabilmente vuol dire: l'amore della Sapienza santa, quando c'è veramente, non ammette discussioni o ragioni o consiglio perché s'impadronisce da sè di tutto lo spirito, ma può ripresentarsi sotto diversi aspetti sostituendo l'una forma all'altra se la prima è stanca e non attrae più.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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