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      Dante invece nella Commedia creò prima un'ossatura dottrinale e una linea d'eventi significativi che aveva la sua logica e la sua unità ed esprimeva l'idea segreta, poi, sopra a quella, plasmò il dramma umano, vivo. Distese la poesia narrativa del suo viaggio in maniera tale che questa ebbe la sua vita, la sua verità, la sua commozione sopra il substrato dottrinale che si svolgeva per lo più come in un altro piano; tanto che la Divina Commedia poté essere ammirata (benché imperfettamente) per sei secoli, senza essere affatto intesa nella sua significazione profonda se non in questi ultimi anni.
      Invece la poesia d'amore era ammirata in quei pochissimi casi nei quali il duplice significato procedeva in armonia, ma rimaneva quasi sempre o gelidamente artefatta o stranamente incomprensibile, per gli elementi di gergo che conteneva e che spesso affioravano e quasi sempre corrompevano il senso letterale.
      Così l'Italia e il mondo furono salvati da una Divina Commedia scritta secondo il gergo amatorio ed ebbero invece una Divina Commedia nella quale la poesia fioriva mirabilmente sullo schema simbolico, come il fiore sul ramo. Così Dante si levò a volo tanto al di sopra del pensiero e dell'arte dei suoi contemporanei e della sua stessa arte giovanile: così l'artificioso maestro del gergo amatorio divenne il poeta divino della Commedia.
      E fu per me un grave errore (causa non piccola del suo insuccesso) quello di Gabriele Rossetti che, avendo saputo probabilmente, per tradizione, che Dante scriveva in gergo e avendo rintracciato evidenti segni di questo gergo nella poesia d'amore, credette di dover ricercare quel gergo anche in ogni parte della Divina Commedia e si lasciò trascinare a molte induzioni inconsistenti e audaci e trascinò in quest'abisso l'Aroux, il quale volle addirittura ritrovare un simbolo o un personaggio designato in segreto in ogni personaggio nominato nella Divina Commedia.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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