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      Della qual cosa tanta ammirazione le giunse, che ruppe il sonno; ne guari di tempo passò che il termine debito al suo parto venne, e partorì un figliuolo il quale di comune consentimento col padre di lui per nome chiamaron Dante».
      Sappiamo bene che cosa sia questa solita fontana all'ombra di un lauro, o di un faggio o di altre piante consimili, è la stessa fontana sotto il lauro che tornerà stucchevolmente nella poesia del Petrarca, è l'antica fontana d'insegnamento, la tradizione iniziatica, su cui cresce la pianta delle cui bacche infatti Dante fanciullo si è nutrito. La sua nascita presso questa fonte vuol dire semplicemente ch'egli era stato nutrito nel seno della setta e della sua Sapienza e tutto il seguito vuol dire ch'egli era divenuto «pastore», guida e maestro dei «Fedeli d'Amore», e che, caduto nella morte, viveva eternamente in gloria, secondo il vecchio simbolo del pavone che significa appunto l'anima risorgente in gloria.
      Ma naturalmente il Boccaccio questo non lo dice, egli congegna una lunga spiegazione riducendo semplicemente l'alloro a poesia, la fonte all'«ubertà della filosofica dottrina morale e naturale; la quale, sì come dalla ubertà nascosa nel ventre della terra procede» (?), il divenire subitamente pastore «ne mostra la eccellenzia del suo ingegno» per il quale divenne «datore di pastura agli altri ingegni di ciò bisognosi».
      E il Boccaccio spiega che era di quelli che «informano e l'anime e gl'intelletti degli ascoltanti o de' leggenti». L'esser divenuto paone significa ch'egli vive nella sua Commedia la quale è come il pavone di penna angelica e in quella ha cento occhi, sozzi i piedi, voce orribile e carne odorifera e incorruttibile e così la Commedia è semplice e immutabile verità, istoria tanto bella e pellegrina distinta in cento canti, con parlare volgare, con orribili invettive.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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