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      D'altra parte, quando si pretende di determinare esattamente il carattere di questo movimento, non bisogna dimenticare che le stesse vicende che esso subì durante l'attività di Dante dimostrano che non era eccessivamente stabile e determinato, e soprattutto non bisogna dimenticare che le forme del gergo amatorio, dimostratesi un così comodo mezzo di dissimulazione, poterono essere adoperate anche da gruppi che non perseguivano proprio le stesse idee e le stesse dottrine. Abbiamo visto già come queste stesse formule abbiano vestito in Persia il misticismo dei Sufi, mentre in Italia rivestivano la dottrina della Sapienza santa sviluppatasi in ambiente cattolico. A maggior ragione dovettero prestarsi a esprimere sfumature diverse e in diverso grado ortodosse o eterodosse della stessa generica aspirazione verso la santa Sapienza primitiva della Chiesa.
      Come veramente questi «Fedeli d'Amore» concretassero la loro dottrina, in quali formule la chiudessero, in che cosa essi facessero differire la Sapienza santa insegnata da Cristo alla Chiesa, dalla dottrina che la Chiesa ufficialmente insegnava, è cosa molto difficile per ora a determinare. La dottrina vera dei «Fedeli d'Amore» è rimasta in molti particolari ignota e la manifestazione sua che conosciamo meglio è quella speciale determinazione che essa prese nella Divina Commedia e che, come abbiamo visto, scandalizzò molti «Fedeli d'Amore» e da molti fu rinnegata. La determinazione precisa dei particolari di tutta questa dottrina si potrà avere soltanto quando avremo riconosciuto e approfondito largamente tutte le manifestazioni che ebbe questo movimento.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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