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      Il Bertoni mi imputa un errore filologico. A proposito di significati speciali delle parole, egli scrive: «Ancidere non vuol dire uccidere come crede il Valli ma far soffrire, come in provenzale».
      Confesso che io, che non pretendo d'essere un filologo, a leggere queste parole rimasi molto male. Mi parve di venir colto in fallo per esser entrato in un campo non mio e molto «riservato». Eppure mi pareva proprio che «ancidere» volesse dire «uccidere»! E mi pareva anche che così m'avesse insegnato a suo tempo il mio venerato maestro Ernesto Monaci. Ma dissi fra me: forse la memoria m'inganna. Se non che nel glossario della sua Crestomazia Italiana trovai (p. 629) ancidere = uccidere.
      Pensai ancora: il libro sarà vecchio; si saranno fatte nuove scoperte... Ma intanto ricordavo:
      A morte me mise, come lo basilisco,
      ch'ancide che gl'è dato; cum soi ogli m'ancise.
      (Stefano da Messina)
      e mi par chiaro che il basilisco non fa «soffrire» ma uccide.
      E via via mi andavo ricordando: «Anciderammi qualunque m'apprende» (Purg., XIV, 133) che traduce semplicemente il biblico «Qui invenerit me, occidet me», e dove quindi ancidere non vuol dire «far soffrire» ma uccidere.
      E mi ricordavo ancora: «Ancisa t'hai per non perder Lavina» (Purg., XVII, 37) dove si tratta di Amata che si era uccisa, impiccata, non si era inferta delle sofferenze.
      Ma non basta; riandai al passo della Vita Nuova dove vien fuori la parola ancidere in questione e trovai che nel sonetto «Con l'altre donne», Dante scrive che amore:
      Fere tra' miei spirti paurosi,


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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