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      Se il Tonelli invece d'usare l'espressione monca e unilaterale di «idea settaria» avesse detto «idea mistica espressa in un linguaggio convenzionale», tutta la meraviglia che egli vuole suscitare nel pubblico si sgonfierebbe, anzi molti direbbero subito: «Ora comincio a capire!»
      L'amore (dice il Tonelli) non sarebbe stato che un pretesto.
      Non è proprio così. La poesia d'amore esisteva in Provenza e probabilmente nell'anima popolare come pura poesia d'amore ma, proprio come avvenne in Persia, a un certo punto e in certi ambienti vi s'infiltrò il gergo mistico-convenzionale perché si trovò che esso poteva servire comodamente alla trasmissione delle idee di gente che non voleva farsi intendere da tutti. Quando la poesia d'amore aulica passò in Italia (attraverso, si noti, corti ghibelline e antipapali) questo processo le era già familiare.
      D'altra parte non nego affatto che questi poeti potessero essere innamorati, avessero emozioni d'amore, materia d'amore anche di diretta esperienza. Dico che a questa materia davano forma secondo i canoni di una convenzione segreta, elaborandola in modo da trarla a esprimere le loro idee d'ordine mistico-settario; e proprio questa elaborazione spiega perché novantanove volte su cento l'espressione perdesse ogni spontaneità.
      D'altra parte questa pregiudiziale generica sull'impossibilità che in un certo periodo storico un liguaggio convenzionale mistico si sia infiltrato sotto la poesia d'amore che era di moda, è pre-giudiziale, superata e distrutta.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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