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      Chiarificazioni dimenticate e confusioni create. In tutto quello che segue nel lungo articolo del Sapegno, l'artificio critico consiste nel lasciare da parte le innumerevoli poesie e i passi oscuri che s'illuminano con la semplice applicazione del gergo fatta da me, per concentrarsi sui passi che possono restare ancora dubbi, e che certamente non mancano, sulle spiegazioni che non lo soddisfano (e dato il tono e l'intenzione del suo scritto non è da meravigliare che siano frequenti), e soprattutto sulle spiegazioni mie che egli stesso impasticcia per poter non esserne soddisfatto. Così per esempio contro la spiegazione del sonetto di Gherardo da Reggio che comincia:
      Con sua saetta d'or percosse amoretale, che poi senza mercé morio
      et sua donna crudele 'l consentio,
      né se ne dolse, né cangiò colore,
      nel quale io, appoggiandomi a tutto un complesso di altri fatti che non ripeterò qui, leggo l'allusione a uno che essendo divenuto «Fedele d'Amore» (percosso dalla saetta d'oro) è poi viceversa morto (secondo il gergo «uscito dalla setta», «attratto o preso o forse ucciso dalla Morte = Chiesa corrotta») mi dice che «nei versi citati né in tutti gli altri del sonetto la morte è ricordata mai». Non so come possa dire che non è ricordata mai la morte in versi nei quali si dice di uno che morio. Ma su questo strano equivoco gli è stato possibile costruire tutto quell'inafferrabile guazzabuglio pseudoconfutativo che segue.
      Alla fine di quel guazzabuglio il Sapegno ha la lealtà di aggiungere: «Non sempre, si capisce, il Valli s'ingolfa in gineprai di questa specie». Ma sarebbe anche più corretto se non avesse tentato di buttarmi invece lui nel ginepraio dove non ero affatto e se, volendo informare con una certa obiettività i suoi lettori, avesse sia pur lontanamente accennato a qualcuna di quelle moltissime poesie che, come la canzone contro la «Morte» di Cino, passano dall'essere stupide all'essere bellissime soltanto con la traduzione di una parola del gergo (Morte = Chiesa corrotta).


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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