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      Quando un critico è capace di affermare che di queste 14 figure «ognuna appare stare a sé» io non posso rispondergli altro se non che egli deve avere per l'occasione atrofizzato in sé ogni capacità sintetica.
      Che se egli, riferendosi alle oscurissime cobole che accompagnano le 14 figure, può sollevare dei dubbi sulla rispondenza del morto alla religiosa e della morta al religioso, lo fa involgendosi nei pasticci che il Barberino crea ad arte come difesa contro la «gente grossa» col facile gioco del doppio significato di morte che è, come in tutta la mistica, morte nell'errore e morte dell'errore.
      Poiché egli sente evidentemente che se non lui, tutti gli altri riconosceranno ne I Documenti d'Amore e nel Tractatus amoris dei libri settari, si affretta ad affermare a buon conto che tutte le opere di Francesco da Barberino sono «nettamente estranee all'ambiente culturale e letterario del dolce stil novo». È il solito gioco che, avanti alle profonde correnti che potevano avere infinite manifestazioni di diversissimo tipo letterario, s'irrigidisce negli schemucci e nelle piccole divisioni fatte per comodo scolastico sulla superficie puramente letteraria di questo mondo e pone tra uomini che scrivono in un certo stile e quelli che scrivono in un altro stile delle divisioni che crede vadano al fondo della dottrina. Con questo puerile artificio si tenta d'isolare gli scrittori più o meno eleganti e armoniosi del dolce stil novo da tutto quello che li circonda e che grida più apertamente di loro il loro stesso pensiero, dal Fiore, che è viceversa secondo ogni probabilità proprio di Dante, da L'Acerba che viceversa canta l'Intelligenza attiva come Guido Cavalcanti, da I Documenti d'Amore dove se diverso e più fiacco è lo stile, identico è l'ambiente politico religioso, la concezione dell'amore e tutto lo spirito e soprattutto il gergo!


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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