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      Ho risposto a proposito dell'altra superficialissima obiezione che consiste nel dire che i «Fedeli d'Amore» si sarebbero sollazzati in un inutile gioco di sofismi e d'artificiose denuncie, obiezione che si riduce al voluto oblio o alla ormai inescusabile ignoranza dell'intensa e tragica attività civile e religiosa dei «Fedeli d'Amore».
      Ho risposto anche alle obiezioni riguardo a qualche incertezza sulla dottrina dei «Fedeli d'Amore», sulla sua origine e sulla sua connessione con altre dottrine consimili, incertezza che esiste ed esisterà fino a quando non avremo esplorato bene questo mondo che le chiacchiere della nostra tradizione realistica ci hanno finora occultato e tentano di occultarci ancora. Lascio alla presunzione di chi crede di saper tutto il risolvere subito, a fondo, problemi di questo genere, ma riaffermo che nulla è più verosimile teoricamente e più evidente nella dottrina dei «Fedeli d'Amore», che il fondersi della dottrina dell'«Intelligenza attiva» con la dottrina della «Sapienza» agostiniana, di quella che, come dice S. Agostino, è l'unica suprema Sapienza Divina «cui solo partecipando si può essere sapiente». Questa dottrina che aveva già raffigurato la sapienza in Rachele, e nella morte di Rachele l'excessus mentis, si fuse con quella dell'Intelligenza attiva, raggio della divina Sapienza che deve pervenire all'intelletto passivo dell'individuo e avvivarlo, fondersi con esso e innalzarlo alla felicità contemplativa e a Dio.
      Basta pensare agostinianamente la redenzione come il ristabilirsi del primitivo rapporto tra l'Intelletto e la vera Sapienza e quindi la Sapienza consegnata alla Chiesa (mediatrice tra l'intelletto e la verità) come rivelazione, perché il nucleo centrale della dottrina dei «Fedeli d'Amore» appaia chiarissimo: chiaro il suo ricollegarsi con l'idea che la Chiesa corrotta non rivelava più questa santa Sapienza a lei consegnata.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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