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      Egli infatti non figura tra coloro che restarono accanto a Dante. E a proposito di Niccolò de' Rossi del quale ho notato io che aveva dei sonetti invocanti Giovanni XXII, il Sapegno si guarda bene dal dire quello che ho fatto osservare: che si trattava di un trevisano atterrito dalla minaccia degli Scaligeri e che in qualche momento poteva anche, per amor del suo comune, rivolgersi al Papa per aver aiuto politico.
      Il Sapegno contro la mia dimostrazione dunque mi scopre tre esempi di «Fedeli d'Amore» non orientati verso l'Impero e sono precisamente le tre eccezioni che ho posto avanti io stesso dandone completamente ragione. Mi aggiunge un quarto caso dicendo: «Non era guelfo poi anche Chiaro Davanzati, nel quale i modi dello stil novo son tutti preannunciati, non pur nelle forme, ma anche nella materia concettuale, nella maniera ad esempio di definire e concepire l'amore?»
      Rispondo. Come mi si può citare tra i «Fedeli d'Amore» del gruppo iniziatico al quale alludo io, Chiaro Davanzati che è un guittoniano come gli altri e solo forse un poco più fine? Egli scrive in maniera assolutamente estranea a quelle profondità e a quei sottintesi, a quel dottrinarismo complesso che pervade il dolce stil novo anche se talora sembra avvicinarsi ai modi formali della nuova scuola o subirne l'influsso. Egli non ha né astruserie né segreti, e quanto al concetto dell'amore, egli rimane uno che dice alla sua donna:
      La vostra dolce bocca ed amorosad'uno basciar mi done sicuranza.
      (Le Antiche Rime Volgari, vol.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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