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      Egli scrive: «Se le conclusioni e le ipotesi formulate e patrocinate con larghezza imponente di ragguagli e di parallelismi, e con sottile e avvincente vigore polemico da Luigi Valli in questo suo grosso volume saranno per guadagnare quel successo che tutto induce a pensare ch'essi meritino, noi vedremo la critica e l'esegesi del dolce stil novo esulare dal campo della nuda indagine estetico-letteraria per passare in quello infinitamente più vasto e pingue della storia della spiritualità cristiana nel Medioevo. Per conto nostro non ce ne rammaricheremo e non ce ne sorprenderemo. È solamente l'arretratezza della nostra cultura che ci ha fatto trascurare, con immenso nocumento, l'apporto luminoso che all'intelligenza delle prime manifestazioni della nostra letteratura nazionale poteva apprestare l'esplorazione del mondo religioso medioevale. Ed è un ignorare la legge costante della traiettoria di sviluppo delle letterature nazionali, escludere la religiosità dai coefficienti del loro nascimento» («Ricerche Religiose», vol. IV, n. 1, p. 87).
      Son lieto che il Buonaiuti veda anche lui così limpidamente che il ristabilire il carattere religioso di questa nostra prima poesia vuol dire far rientrare la nostra letteratura nel quadro di svolgimento generale di tutte le culture artistiche, che non hanno mai cominciato da un tipo d'arte puramente profana come non cominciavano certo da un contenuto puramente profano la pittura e la scultura che si svolgevano parallelamente alla poesia.
      Ma egli nota nel mio libro una lacuna riguardante gli eventuali influssi di Gioacchino di Fiore sulla dottrina dei «Fedeli d'Amore» e dichiaro che tale lacuna esiste, non solo, ma è una delle tantissime della mia indagine che attendono d'essere colmate.


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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