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      Ricordo innanzi agli altri Ercole Rivalta, ben noto a tutti gli studiosi del dolce stil novo, che ha chiuso un suo articolo («Giornale d'Italia», 14 dicembre 1927) con queste parole: «Io stesso, studioso per tanti anni di questi poeti e ricostruttore critico dei loro canti, che della loro poesia mi sono fatto la gioia dello spirito e grande nutrimento della mia arte, sento quanto possa essere penosa la rinuncia a tutto ciò in cui abbiamo creduto, alla verità scientifica in cui abbiamo giurato e che abbiamo cercato di meglio illuminare trasmettendola agli altri. Ma mi sembra sarebbe prova di troppo scarso amore al vero, se all'opera di Luigi Valli non si desse la grande attenzione che le spetta».
      Angelo Orvieto (La setta dei fedeli d'amore, «Il Marzocco» 1° gennaio 1928) ha compiuto pure un'esatta esposizione della tesi augurando che il libro «di fedeltà e d'amore sia accolto con la stessa serietà e onestà che l'hanno ispirato... sia discusso con la stessa dottrina e acutezza con le quali è condotto».
      Francesco Landogna (Dante e i fedeli d'amore», «L'Irpinia Fascista», 11 gennaio 1928) ha riesposto il mio pensiero limpidamente riconoscendo che il libro lo lasciava molto pensoso e che la critica futura non potrà più prescindere da quanto il volume ha rivelato.
      Giuseppe A. Andriulli, nel suo articolo Il dolce stil novo era un gergo di setta («Il Messaggero», 3 gennaio 1928) ha pure compiuto una lucidissima riesposizione di tutto il libro, concludendo che «nel suo nucleo essenziale la teoria, esposta con una larghissima argomentazione ed esemplificazione, appare inoppugnabile dati i sorprendenti risultati a cui perviene».


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Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore
di Luigi Valli
pagine 879

   





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