Pagina (3/234)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Nelle ultime settimane, le sue sofferenze divennero cosí strazianti, che né a mio padre, né ai congiunti e amici piú cari bastava il cuore di assisterla. Io solo ebbi l'animo di non abbandonarla mai. L'assistetti giorni e notti; per due mesi non mi spogliai.
      Non valsero gli sforzi della scienza, i voti, le cure, l'amore; dopo tre mesi di letto, nel silenzio crepuscolare della sera, spirò tra le mie braccia.
      Io la composi nella bara, io l'accompagnai all'ultima dimora; io gettai per primo sulla bara un pugno di terra; sentii che qualcosa di me era sceso nella fossa con mia madre.
      Ma fu troppo: il tempo, anziché affievolire, rincrudeliva il mio dolore.
      Vidi mio padre incanutire in breve volger di tempo. Anch'io divenivo sempre piú cupo e silenzioso; non parlavo per intere giornate e passavo il giorno errando per le boscaglie che fiancheggiavano la Maira. Molte volte, sostando sul ponte, mi fermavo a guardare le pietre bianche e asciutte del suo letto secco, con una gran voglia di gettarmi a capofitto e sfracellarmi il cranio sovr'esse. In breve, vedevo con disperazione la pazzia e il suicidio dinanzi a me.
      Fu allora che decisi di venire in America. Il 9 giugno 1908 lasciai i miei cari. Era tale la piena del dolore in me che li baciai e strinsi loro le mani, senza poter pronunziare sillaba.
      Mio padre, stretto dalla medesima morsa, era muto al pari di me mentre le sorelle singhiozzavano come quando morí la mamma. La popolazione era corsa sul limitare delle porte e mi salutava commossa.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Non piangete la mia morte
Lettere ai familiari
di Bartolomeo Vanzetti
pagine 234

   





Maira America