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      Dopo otto mesi me ne andai per non contrarre la tisi.
      Era un triste anno quello. I poveri dormivano all'aperto e rivoltavano le immondizie nei barili per trovare una foglia di cavolo od una mela marcia. Per tre mesi percorsi New York per lungo e per largo, senza riuscire a trovare lavoro. Un mattino, in una agenzia di collocamento al lavoro, incontrai un giovane piú pezzente di me. Era andato a letto senza cena la sera innanzi, ed ora era ancora digiuno. Lo portai in un ristorante: dopo aver divorato con voracità lupesca una colazione, mi disse che restare a New York era una bestialità, che se avesse avuto soldi sarebbe andato in campagna, ove almeno un po' si lavorava, tanto da guadagnare alla meglio un tozzo e un giaciglio, senza contare l'aria pura e il bel sole che non costavano nulla. Qualche soldo in tasca l'avevo ancora e, senza farla lunga, lo stesso giorno, preso lo Steam-Boat, ci recammo ad Hartford, Conn. Di lí si partí in treno alla volta di un piccolo villaggio - non ricordo il nome - nel quale il mio compagno aveva precedentemente dimorato. Ci rivolgemmo per lavoro ad una famiglia americana di agricoltori, ma fu vano sforzo. Tuttavia, alla fine, vista la nostra condizione, piú per umanità che per bisogno ci diedero lavoro per due settimane. Ricorderò sempre la bontà di quella famiglia, e mi dispiace di non ricordarne il nome.
      Qui taccio per brevità il nostro pellegrinaggio in cerca di lavoro. Girammo una infinità di paesi, il mio compagno bussava agli uffici di ogni fabbrica, ma quando ritornava mi buttava un «niente» a venti passi di distanza.


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Non piangete la mia morte
Lettere ai familiari
di Bartolomeo Vanzetti
pagine 234

   





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