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      Beh! l'uomo propone e Dio o il caso dispone. Se egli è sincero e nessun ostacolo glielo impedirà, egli verrà a trovarvi, e vi metterà al corrente di ogni cosa.
      Il mio assoluto silenzio sulle vicende della nostra causa è dovuto al fatto che io so esservi delle persone, meglio informate di me stesso, che vi scrivono sul riguardo.
      L'avvocato lavora a tutt'uomo per produrre le evidenze atte ad imporre la revisione del processo. Dico «imporre» perché il giudice, nostro mortale nemico, che ci vuole perdere a ogni costo, ben comprendendo la trama a cui prese parte sí importante, non ci dà un altro processo se non costretto, se non per forza. Imbestialito dall'ossessione di difendere la sua classe, non s'accorge di maturare il fato che la sorte riserba ai tiranni.
      Dopo di lui vi è ancora la Corte suprema dello Stato e, al disopra di tutte e due, la volontà del proletariato mondiale e la coscienza del mondo civile.
      Del resto l'avvocato è ottimista. Tre testi d'accusa sono annientati. Altre decisive evidenze sul conto dei dodici pellirosse che ci condannarono, sono in via di formazione.
      Vi sono anche le confessioni di due prigionieri, ma ripugna a noi e ai compagni di ricorrere a questo.
      Un vecchio ed eroico compagno d'Italia ha detto: «Fintantoché si tratta di finanziare la difesa di Sacco e Vanzetti, onde esplicare in loro difesa i mezzi conceduti dalla legge stessa, fintantoché si tratta di protestare per la loro condanna e urlare la loro innocenza, e volere la loro libertà, fin qui noi siamo sempre pronti a tutto, ma non quando si tratta di correre dietro a criminali per scoprire i colpevoli come fa ora la difesa; allora noi non possiamo piú essere a fianco del Comitato e della difesa perché a noi la parte di poliziotto è impossibile».


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Non piangete la mia morte
Lettere ai familiari
di Bartolomeo Vanzetti
pagine 234

   





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