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      Sono 29 giorni che digiuna dopo tre anni di confinamento. Ora è molto debole e, se persevera, non potrà vivere a lungo; è questione di settimane, forse di giorni, e la catastrofe verrà. Che le sue facoltà mentali siano state scosse e disturbate dal lungo travaglio, è fuori d'ogni dubbio. Quantunque esso abbia piena ragione del suo atto, dinanzi alla ragione pura, rimane il fatto che egli spera, anzi è convinto, di essere liberato da questo gesto. Il che è un errore che manifesta un certo squilibrio mentale. Le suppliche dei suoi cari, degli amici e dei compagni tutti, tornarono vane.
      Il collegio di difesa richiese al Comitato prima, alla consorte di Nicola poi, e infine a me l'autorizzazione di sottomettere Nicola al giudizio di competenti dottori, onde poter prendere le misure atte a salvarlo dalla morte; vale a dire: la nutrizione forzata.
      Gli altri, e io, negarono e negai una tale autorizzazione, perché Nicola può essere patito, ma è ben lungi dalla pazzia; poi, perché si voleva lasciare allo Stato l'assunzione di quella responsabilità al cui cospetto il suo operato lo portò.
      Avvenne però che la difesa assunse ella stessa la responsabilità e chiese alla Corte di sottoporre Nicola alla visita di esperti, onde trasportarlo in una casa di salute e sottometterlo alle cure necessarie per conservarlo in vita e ritornarlo alla normalità mentale. Io ero furibondo quanto impotente; mi morsi la lingua e tacqui.
      Domani ritornerò in Corte, poiché la paura dei tutori della giustizia (?) ha stabilito di riportarmi a Charlestown, questa sera.


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Non piangete la mia morte
Lettere ai familiari
di Bartolomeo Vanzetti
pagine 234

   





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