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      Cosí mi ha scritto lui stesso.
      Sabato 4 aprile l'avvocato è stato a trovarmi - fa delle grandi risate e si mostra ottimista.
      Ma non su questo io confido; né di questo mi appago.
      Egli parla anche di deportazione, e dice che lo Stato, dato il caso, e l'aiuto che ci è dato, e le prove prodotte in nostro favore, e l'opinione pubblica in nostro favore e la paura dei responsabili, ha interesse a liberarci. «Intanto - tu pensi - devi rimanere per almeno mesi e mesi in prigione, e di sicuro non si sa nulla.»
      Hai ragione. Però di sicuro io so una cosa: che il proletariato è stanco di aspettare e di sperare invano.
      Guai ai tiranni se non la faranno finita o se si dimostrassero decisi a tenerci, qualcuno di loro morderebbe la polvere per non rialzarsi mai piú. Per questo siamo ancora vivi - per questo, se mai, ritorneremo in libertà. Noi e i nostri compagni domandiamo a quei signori che si sbrighino e che la facciano finita una volta per sempre. E la dovranno far finita.
      Quindi animo e coraggio. Pregoti recapitare alle zie le lettere per loro qui accluse. A Ettore e Cenzina, al babbo e a te un mondo d'affetto e di saluti. Tuo fratelloBartolomeo
     
      16 aprile 1925
      Carissima zia Edvige,
      come ho altre volte detto: io confido e sono quasi sicuro che Luigina vi dia mie notizie e vi faccia leggere le mie lettere dirette a lei, in cui io ti ricordo e ti saluto sempre, come pure ricordo e saluto la zia Maddalena, i parenti tutti e gli amici.
      Però siccome ora ho il tempo e il necessario, mi accingo a scriverti ciò che da lungo tempo desidero e che avrei di già dovuto fare.


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Non piangete la mia morte
Lettere ai familiari
di Bartolomeo Vanzetti
pagine 234

   





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