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      Mi pareva che da que' mobili, da quelle antiche tappezzerie pendenti a brani dalle pareti, dal pavimento stesso esalar dovessero misteri di sangue e di morte. Eppure non v'ha cosa che sia scomposta; tutto rimase intatto quale fu abbandonato, or fa meglio di cinquant'anni. Perfino le auree branche dei candelabri sporgenti dalle pareti conservano nei collarini di cristallo i moccoli dei cerei stessi che illuminavano — chi sa forse! — quale angosciosa veglia, quale scena di spavento! Ascoltava con una specie di brivido il calpestio de' miei passi risuonanti sul palchetto del pavimento, ripetersi nelle altre sale oscure, taciturne da mezzo secolo! L'imagine della Contessina m'apparia d'ogni parte; quello è il letto di lei; quelle coperte rabescate, quel padiglione polveroso la videro solitaria in questa sala strascinare i giorni nell'agonia, nel desiderio della morte. Chi sa quante lacrime avrà versate su quel capezzale! In quello specchio gigantesco, ove da tanti anni non si riflette faccia umana, chi sa quante volte, dopo una notte senza riposo, avrà contemplate le sue sembianze, ogni dì piú scarne, piú scolorate!
      Traversate parecchie camere, tra le quali una gran sala tappezzata di ritratti, unici abitanti di quel castello, e discesa una scaletta a chiocciola, mi trovai nella cappella domestica, grazioso edifizio gotico. Respirai; la presenza d'un altare, tuttoché deserto, scaccia i cattivi genii, le tristi ispirazioni e ricorda i piú bei giorni, le gioie e gli atti piú solenni della vita.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





Contessina