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      Al fioco lume che vi penetrava, mi venne veduto nel ripostiglio d'un nero inginocchiatoio, un grosso libro d'argentee borchie, adorno di bei rabeschi; l'aprii, e trovai il segno alle preghiere per i defunti! La povera Contessina, pensai fra me stesso, le avrà forse recitate per se medesima! e mi occorsero casualmente allo sguardo quelle parole:
     
      I miei giorni passarono come un'ombra,
      Inaridirono come l'erba dei campi.
     
      Tale forse è l'espressione, il compendio della tua vita, povera giovinetta!... Oggi tutto è muto... Passarono gli abitanti di questo castello... e di tutto questo dramma misterioso, non rimane che un riflesso, ma un riflesso sanguinoso nella strana apparizione e nella lotta dei due fantasmi.
      Ecco la tradizione quale mi fu raccontata.
     
      III
     
      Il vecchio Conte, padrone del castello, era uno di que' tipi che, ora colla parrucca incipriata ed ora col pizzo al mento, si trovano in tutti i secoli; uomini, che dopo aver corteggiato il bel sesso per quasi mezzo secolo, senza aver mai intraveduto, nemmeno per un momento, che sia l'amore, giunti ai sessant'anni senza veruna stima per la donna che o non conobbero o contaminarono, pensano ad ammogliarsi; e ciò che v'ha di piú strano in questa razza di sedicenti filosofi, i quali si vantano conoscitori espertissimi del bel sesso, si è che, coi grigi loro capelli screziati ad iride, collo sbiadato loro sorriso, si argomentano d'invaghire una giovanetta, o compensare coi titoli e colle ricchezze a quel bisogno prepotente, ineluttabile che la natura ha posto in cuore della gioventù, il bisogno d'una vitale corrispondenza di affetti e di inclinazioni.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





Contessina Conte