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      Il Notaio siedea solo nella sua camera al chiarore di un lumicino che rendea piú taglienti, piú sinistri i duri contorni della sua faccia, e piú trista l'apparenza di quella stanza.
      Vedevasi tutt'all'intorno delle pareti, tra colonne di vecchi scaffali, una serie di filse, di pergamene, digesti, codici, ecc., e nel mezzo un crocifisso nero e quasi gigantesco, il quale, dacché Giuda l'ha venduto, non vide mai un ceffo piú ipocrita, piú traditore di quello del Notaio; e si giurava e stipulavansi atti in nome di lui, e falsi testamenti che avrebbero dovuto destare i morti nel loro sepolcro. Una gran tavola, ingombra anch'essa di pergamene e di libri, nel mezzo della camera; un armadio, un vecchio e polveroso inginocchiatoio accanto al letto, alcuni seggioloni rabescati ne compievano il mobiliare. L'atmosfera, racchiusa in quelle quattro pareti — poiché il Notaio apria di rado le finestre, quasi temesse che la luce aperta del sole balenasse sulle sue carte — avea qualche cosa di tetro, di contristato che ti pesava sul cuore; avresti detto che l'alito di quell'uomo, l'influenza di quell'anima inputridita, mortalmente la corrompesse.
      Il Notaio si levò piú volte da sedere con atto di impazienza, e stette in orecchio all'uscio semichiuso della camera. Deluso nella sua aspettazione, ora passeggiava a passi concitati, ed ora improvvisamente soffermavasi, puntando il pugno sulle labbra, torvo, concentrato ne' suoi pensieri. L'impeto della bufera scuoteva ad ora ad ora le imposte delle finestre e la porta della camera; ed il Notaio, credendo distinguere, tra il mugulare del vento, il calpestio d'un uomo, tornava ad oregliare, ma sempre invano.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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