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      Che dica il rosario con quella corona che ha tra le mani?...
      E si fregò gli occhi, temendo di trasognare.
      Era proprio il Notaio in ginocchioni. L'amore, o per dir meglio, la passione che quell'uomo violento avea concepita per Eloisa, si era rinforzata di tutta la forza del suo carattere, e soffocata sempre nel cuore, ne facea strazio disperante. La corona che Cencio, mal distinguendola, avea presa per un rosario, altro non era che la collana nuziale di quella povera giovanetta, collana cui stava sospeso il ritratto di lei.
      — Oh queste perle, diceva tra sé il Notaio, abbracciavano un giorno quel collo! Questo ritratto è proprio il suo. Che sorriso di paradiso! che sguardo!... Cosí al medico sorridevi!... E queste belle treccie le abbandonavi alle sue mani!...
      Qui passando dalla tenerezza ad una smania di mostro, invaso da una frenetica gelosia, sorgea in piedi; le sue nari si dilatavano; il sangue gli gonfiava le vene e i polsi; gli battea le tempia violentemente...
      — Ma è sotterra il mio rivale... il mio... fortunato rivale! — mugghiava fra se stesso, battendo il piede sul pavimento e stringendo convulsamente il ritratto di Eloisa.
      — È sotterra!
      Il suo labbro si contorceva con un sogghigno infernale, i suoi occhi, fissi sul pavimento, si spruzzavan di sangue; tutte le sue membra tremavano.
      Cencio, sempre all'uscio della camera, non sapea che pensarsi.
      — Il rosario, diceva fra se stesso sorridendo, gli ha fatto male; è un cibo troppo indigesto per il suo stomaco non assuefatto.
      E pian piano si ritirava.


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Racconti popolari dell'Ottocento ligure
Volume Primo e Secondo
di Autori Vari
pagine 484

   





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